Fallimento formativo e povertà educativa
Una politica nazionale di contrasto del fallimento formativo e della povertà
educativa. Cabina di regia per la lotta alla dispersione
scolastica e alla povertà educativa.
Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca.
Premessa
E’ tempo per una grande politica nazionale tesa a battere il fallimento formativo in Italia. Affermare – attraverso costanti e ben articolate politiche pubbliche – l’obiettivo di battere la cosiddetta dispersione scolastica – il fallimento formativo – significa occuparsi bene del nostro oggi e guardare lontano. Non si tratta solo di trovare soluzione a un problema del nostro sistema scolastico che dura da decenni ma di puntare alla crescita dell’Italia in un’ottica di equità e nel rispetto dell’art. 3 della Costituzione della Repubblica in accordo con tutti gli indirizzi di politica economica.
La dispersione non è un epifenomeno marginale, per quanto numericamente significativo; non è solo una disfunzione della scuola; per il sistema di istruzione e formazione non è un problema, è il problema. Ma, ancora di più, la dispersione è causa e insieme conseguenza di mancata crescita e, al contempo, di deficit democratico nei meccanismi di mobilità sociale del nostro Paese ed è l’indicatore di una deficienza del nostro sistema in termini di equità. La conseguenza della dispersione non è solo la perdita, per centinaia di migliaia di ragazze e ragazzi – in un Paese che fa pochi figli – delle opportunità che derivano dal compimento della scuola superiore o di una seria formazione professionale. La caduta di tali opportunità, infatti, comporta dei fortissimi rischi per ciascuna delle persone in crescita interessate.
Condanna all’emarginazione sociale una fetta della popolazione all’avvio della vita con rischi multidimensionali in termini di minore aspettativa di vita, maggiore possibilità di contrarre malattie, di cadere in dipendenze da alcool e sostanze psicotrope, di delinquere, di essere precocemente messo fuori o ai margini del mercato del lavoro, di conoscere la povertà precoce e di non uscire dalla povertà per l’intera vita, di non partecipare alle comuni decisioni e all’esercizio dei diritti democratici.
Se per le persone si tratta di un rischio – in termini di mancata cittadinanza e di possibilità di una vita dignitosa – il perdurare del fallimento formativo di massa comporta una perdita economica per l’intero Paese in termini di PIL e di coesione territoriale e sociale. Rappresenta un abbassamento del livello culturale dell’intera società. Produce una maggiore spesa pubblica per sanità, sicurezza e per spesa sociale dedicata alle diverse età della vita. Genera marginalità e conflitto sociale. Condiziona negativamente la partecipazione democratica di tutti.
Le varie indagini sul fenomeno che si sono susseguite – a partire almeno dalla seconda metà degli anni ottanta del secolo scorso ma già ben presenti in Lettera a una professoressa dei ragazzi di Barbiana, cinquanta anni orsono – ne hanno, di volta in volta, nel corso delle diverse stagioni della vicenda nazionale, chiarito i contorni e hanno dato evidenze dalle quali bisogna partire per intervenire.
Nel 2014 la VII Commissione della Camera dei deputati approvò un documento, elaborato al termine di una indagine conoscitiva, molto larga e partecipata, sulle strategie per contrastare
4 la dispersione scolastica1, delineando delle linee di indirizzo anche sulla base di un rapporto del MIUR. Si tratta solo del più recente documento prodotto dalle Istituzioni democratiche che disegna una risposta condivisa a una situazione intollerabile, universalmente riconosciuta come tale da ogni parte politica e da tutte le forze sociali e della cultura. Questo ennesimo documento di indirizzo è nato da quanto, da decenni, fanno le scuole, il privato sociale, gli enti locali e dal maturare – grazie alla pratica educativa viva ed al dibattito pubblico informato – di migliaia e migliaia di buone esperienze diffuse ovunque in Italia, nelle scuole e nel più largo mondo della formazione e dell’educazione. Nello stesso tempo – e spesso in sinergia con le azioni degli attori in campo – l’amministrazione scolastica centrale e periferica, le regioni, gli enti locali sono intervenuti con misure dedicate e di sistema, hanno destinato risorse e promosso indirizzi, analisi, azioni. L’OCSE, le Nazioni Unite, la UE attraverso
Commissione e Parlamento, studiosi, analisti hanno dato il loro contributo a un dibattito costante e ricco. Abbiamo dati, evidenze, indicazioni e obiettivi chiari e largamente condivisi